Olivicoltura super intensiva. Ne parliamo con GiovanniCerabona

Cos’è l’olivicoltura super intensiva? E in che modo e con quale consistenza essa è entrata a far parte del panorama agricolo metapontino?

Ne parliamo con Giovanni Cerabona, imprenditore agricolo di Montalbano Jonico e referente commerciale sul territorio per Agromillora. L’azienda catalana, che ha visto la luce nel 1986, è oggileader mondiale nel settore vivaistico. Si attesta agli anni ’90, invece, la nascita della consociata Agromillora Iberia, punto di riferimento nella produzione e commercializzazione di alberi d’ulivo.

«Mi sono avvicinato a questa realtà nel 2012 – spiega Cerabona – prevalentemente per curiosità, grazie ad un convegno organizzato dall’Università di Bari alla Fiera del Levante. Da qui il primo impianto di un terreno a conduzione super intensiva, poco meno di due ettari. Nel 2015 altri imprenditori agricoli decisero di intraprendere la medesima strada. Attualmente, in agro di Montalbano, si contano circa cento ettari di superficie ad olivicoltura ad alta densità».

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In termini pratici a cosa facciamo riferimento quando parliamo di super intensivo in olivicoltura?

«A definire il super intensivo è,in primo luogo, la densità di impianto, dai 1200 ai 2000 alberi per ettaro. A ciò si aggiunge un tipo di forma di allevamento in volume con la formazione di una vera e propria parete produttiva. Ma la vera parola chiave è meccanizzazione. Tutte le operazioni colturali, dalla potatura alla raccolta, quest’ultima attuata in continuo per mezzo di una macchina scavallatrice, sono completamente meccanizzate».

Quanto incide la scelta varietale in questa forma di allevamento?

«È fondamentale e anche in questo ambito i passi in avanti sono stati moltissimi nell’ultima decade. Si consideri il fatto che fino al 2010 le varietà per il superintensivo erano essenzialmente due: l’Arbequina e l’Arbosana, oggi l’offerta è molto più ampia. Faccio riferimento alla Lecciana, Coriana ed Elviana, brevettate dall’Università di Bari, che per prima in Italia ha studiato e valutato l’olivicoltura superintensiva, realizzando alcuni impianti sperimentali già a partire dai primi anni 2000. Ciò che le accomuna è la bassa vigoria, la precoce entrata in produzione e la produttività costante».

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E i vantaggi maggiormente riscontrati?

«Basti pensare che il tempo di raccolta di un oliveto superintensivo con scavallatrice è pari a 2 ore per ettaro, nove volte inferiore alla raccolta con scuotitore. E se è vero come si dice che il tempo è denaro, ne segue un importante abbattimento dei costi di produzione ben al di sotto del prezzo all’ingrosso, con margini significativi di reddito agli imprenditori olivicoli».

Quali sono state le incertezze e i dubbi iniziali nei riguardi di questo passaggio alla meccanizzazione?

«Fin da ragazzo ho condotto personalmente l’azienda lasciatami in eredità, avendo la possibilità di vivere le varie fasi che l’olivicoltura ha attraversato. Dalla raccolta con l’uso dei pettini manuali all’abbacchiatore, sino ad oggi. All’inizio la maggior parte degli imprenditori olivicoli conservava reticenze soprattutto legate a una forte tradizione culturale difficile da superare. Si trattava, inoltre, di un periodo, quello di dieci anni fa, in cui la frutticultura conosceva il proprio apice. Oggi le cose sono nuovamente cambiate, e bisogna farsi trovare pronti a cogliere le opportunità che il settore offre. Per fare ciò non si può prescindere dall’elemento innovativo, indispensabile per un’olivicoltura da reddito che possa generare ricchezza e occupazione».

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Mentre per quanto riguarda la qualità e la sostenibilità di questa scelta?

«Il sistema colturale olivicolo superintensivo possiede notevoli requisiti di sostenibilità ecologica, dall’uso efficiente della risorsa idrica alla gestione fitosanitaria, condotta secondo i disciplinari di Difesa Integrata. Per ciò che concerne la qualità del prodotto finito i reali effetti sono legati ai tempi di stoccaggio. È ovvio che la raccolta completamente meccanizzata, così come  l’uso di agevolatori,reca danni ai frutti in misura maggiore rispetto alla raccolta manuale, ma gli effetti negativi sono contrastati dalla rapidità con cui le olive raccolte sono avviate alla lavorazione».

Come vede il futuro dell’olivicoltura?

«Penso che questo futuro sarà scritto dalla capacità imprenditoriale di noi agricoltori, certo, ma anche e soprattutto dalle scelte dei consumatori finali. L’olivicoltura super intensiva si è dimostrata all’altezza di produrre oli extra vergine d'oliva estremamente competitivi sul mercato internazionale. Si tratta di una strada sempre più battuta in tutto il Paese, e che ha segnato negli ultimi anni una crescita rapida e costante. Il percorso da fare è ancora lungo, è prima di tutto necessario superare le titubanze legate al tema, ma grazie alla ricerca e all’informazione consapevole sono certo che altri nuovi entusiasmanti risultati non si faranno attendere».


SIMONA PELLEGRINI