Estro e creatività nella cucina di Luigi Papangelo
Luigi Papangelo ha trentun’anni e quando gli si chiede cosa sia per lui la cucina, risponde, senza esitazione, che in essa è racchiusa l’essenza stessa della libertà. La libertà di esprimersi di cui è andato alla ricerca sin da piccolo, tra il ricordo di mamma Lucia ai fornelli e la convivialità attorno alla tavola del nonno, nella casa in campagna.
«Nella
prima fase della mia giovinezza non avevo ben chiaro quale fosse la
mia passione, poi pian piano ho trovato il mio personalissimo modo di
comunicare attraverso il cibo – una predisposizione maturata nel
corso del tempo, non senza difficoltà, con alle spalle una lunga
gavetta – sono partito lavando le pentole, in seguito lo studio, la
ricerca e i tanti sbagli che mi hanno aiutato a crescere e a
migliorarmi, sino a sentirmi padrone della materia su cui lavoro».

Diverse esperienze nel nord Italia e altrettante proposte giunte dall’estero, declinate per il viscerale rapporto nei confronti della propria terra. Negli ultimi anni colonna portante delle cucine di importanti strutture ricettive tra Puglia e Basilicata. La sua attuale casa? Il ristorante Ostè, nella vicina Altamura.
La passione per la sperimentazione, come elemento essenziale della filosofia che intende portare avanti: «Se vedo un alimento lo associo a mille sapori». L’obbiettivo? Mettere a disposizione del cliente la stessa esperienza, attraverso la possibilità di accedere a una più ampia declinazione del medesimo piatto. «Trecentosessanta gradi di sapore – spiega Papangelo – ma per fare ciò ho dovuto rivoluzionare le mie stesse basi, approdando a una rivisitazione della cucina tradizionale».

La parola d’ordine è contaminazione. Chiave di volta della cucina fusion, per una dinamica che combina, in maniera esplicita, elementi associati a differenti tradizioni gastronomiche per produrre pietanze complesse non più incasellabili in qualsivoglia ambito culinario. Non solo un semplice mix di ingredienti, sapori e profumi, ma una vera e propria fusione, appunto, tra la storia e la cultura di luoghi del mondo geograficamente molto lontani che si ritrovano, sulla base di tale concetto, a dialogare all’interno di un’unica pietanza. Protagonista assoluta di ciò è una materia prima di grande qualità rivisitata in chiave scenica.
«Ritengo molto importante che un piatto oltre ad essere buono debba risultare bello agli occhi del cliente, d’altronde - aggiunge Papangelo – si mangia prima con gli occhi. La ricercatezza del dettaglio, in tal senso, è una delle tante strade che perseguo per dare importanza e rilievo a ciò che faccio». Eleganza e visione estetica. Equilibrio non solo nel gusto, ma anche nel colore. Per una visione e un risultato d’insieme dove nulla deve essere lasciato al caso.

Ecco che in uno spaghetto cacio e pepe ci si ritrova in realtà ad assaporare oltre che ad un ottimo pecorino locale e un buon pepe macinato al mortaio e tostato in padella, anche una dadolata di pere precedentemente macerate nel gin. L’odore iodato è invece assicurato dagli scampo. A colorare il piatto ci pensa il pane macinato assieme a del carbone vegetale. Abbinamenti ricercati per sorprendere e andare incontro ai palati più raffinati. Estro e creatività a servizio dell’elaborazione di un piatto che possa trasformarsi in esperienza ed emozione.
Il sogno più grande di Papangelo? «Come ogni chef, aprire il proprio piccolo locale, magari ad Irsina, dove sono nato. Ma per adesso è meglio lasciar fare al futuro. Si vedrà poi».
SIMONA PELLEGRINI