Azienda Agricola Mastrangelo: dal vino bio alla fattoria sportiva
La storia
Quella che stiamo per raccontarvi è una storia che abbraccia le dolci campagne del metapontino, tra folte bordure di macchia mediterranea e maestosi uliveti ultracentenari. Ad appena un chilometro dal centro abitato di Bernalda, vivace borgo in provincia di Matera, sorge l’Azienda Agricola Mastrangelo. Dieci anni appena di operato in quella che fu l’antica masseria di famiglia, in contrada Gaudello. Intorno, cento ettari di verde, i profumi e i colori della natura.
Natura che Giuseppe Mastrangelo ha sempre voluto preservare, investendo, sin dall’inizio, in pratiche biologiche: «lavoriamo la terra con tecniche di coltivazione e produzione dell’uva sostenibili, ed è attraverso la sostenibilità che intendiamo tramandare quel che ci è stato donato».
La ristrutturazione della masseria, la cura delle terre ormai abbandonate, l’espianto di un vecchio vigneto a tendone e l’inizio con la produzione di olio extravergine d’oliva. «Ho cominciato da lì – spiega Mastrangelo – affiancando all’ogliarola del Bradano altre varietà, frantoiana, leccino e coratina. Non avevo nessuna esperienza in merito, se non il diploma di agrotecnico conseguito proprio in quel periodo con la volontà di intraprendere al meglio questa nuova avventura».
La ristrutturazione della masseria, la cura delle terre ormai abbandonate, l’espianto di un vecchio vigneto a tendone e l’inizio con la produzione di olio extravergine d’oliva. «Ho cominciato da lì – spiega Mastrangelo – affiancando all’ogliarola del Bradano altre varietà, frantoiana, leccino e coratina. Non avevo nessuna esperienza in merito, se non il diploma di agrotecnico conseguito proprio in quel periodo con la volontà di intraprendere al meglio questa nuova avventura».
Alle spalle, infatti, c’è un’altra storia. Quella di una scelta, che porta Giuseppe da Napoli, dove ha sempre vissuto, fino a Bernalda. Il filo conduttore è la nonna Margherita: «in Basilicata venivo sporadicamente per venirla a trovare – racconta Giuseppe, maturità scientifica e poi la dedizione al paracadutismo, una passione che lo vedrà prestare servizio in Somalia come ufficiale di complemento della brigata paracadutisti della Folgore – a stregarmi definitivamente fu la bellezza di questi luoghi, da lì la decisione di trasferirmi assieme a mia moglie Mena».
Il Margherì e la fattoria sportiva
Ma il passato, per Giuseppe non è mai stato una terra straniera. Nel 2006 la piantumazione del nuovo vitigno, due anni dopo la prima produzione con conferimento presso un’altra cantina. Nel 2013 l’ennesimo e decisivo salto, con la costruzione di una moderna cantina all’interno dell’azienda.
«È così che nasce Il Margherì, dalle pregiate uve di tipo “Greco Matera DOC”, il nostro primo vino dedicato alla figura di mia nonna. Fondamentale in questo percorso il supporto del PIF (Progetti Integrati di Filiera) vini di Lucania».
Diecimila bottiglie all’anno come produzione massima. Una piccola chicca che pian piano si fa spazio nel panorama enologico lucano e non solo, fino ad essere inserito nella lista dei migliori vini Italiani 2020.Le
caratteristiche principali? «Il colore giallo paglierino con riflessi dorati e le
intense e complesse note aromatiche floreali e fruttate. Il Margherì è un vino ricco ed equilibrato al palato che evoca
piacevoli e armoniche sensazioni di sapidità e freschezza».
A
completare il quadro è la passione per lo sport. Da qui la collaborazione con
la CIA e la Federazione Italiana di Atletica Leggera, e la conseguente
realizzazione di una pista di atletica campestre con l’inserimento di numerosi
percorsi sportivi. Seguiranno i corsi di karate, passione mai sopita di
Mastrangelo, e quelli di pilates, nell’apposita palestra costruita direttamente
sulla cantina.
E
i progetti futuri? «Magari l’etichetta di un rosso – aggiunge Mastrangelo – ma
prima di ogni cosa “mantenere”, oltre le difficoltà. Attraversarle, nonostante
la rete poco diffusa che rende noi piccoli produttori tante piccole isole nel
mare magnum di un mercato ormai globalizzato. Mantenere e impegnarsi al massimo
come abbiamo sempre fatto».
SIMONA PELLEGRINI